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GardaTrek, cadere a volte ti salva la vita – Rifugio Altissimo parte II

by Isabelle Yrma Pace
Tempo di lettura 4 minuti

Cadere a volte ti salva la vita – Rifugio Altissimo part II

Ora è tutto diverso: sono ancora egocentrico e farei di tutto per apparire (mi sono sposato in kilt, tanto per dirne una), però adesso lo so gestire: a volte quando passeggio sento il mio ego camminarmi a fianco: mi guarda negli occhi e mi sfida. Le prime volte mi incazzavo e lui si gonfiava ancora di più, ma ho imparato che non funziona.

Ora cerco di volergli bene, di parlargli, di comprendere i suoi bisogni e così facendo lo smonto. Lo abbraccio, e lui da grande e grosso diventa un adolescente, poi un bambino che riesco a tenere per mano. Rimpicciolisce di fronte a me fino a che posso mettermelo in tasca. Non scompare, non se ne andrà mai del tutto perchè è parte di me, ma diventa più leggero e sono io a condurre lui e non più il contrario.

A questo sono arrivato dopo anni di lavoro su me stesso, non è avvenuto dall’oggi al domani. All’inizio ero depresso, era impossibile starmi vicino. Ho fatto fallire relazioni (ho due bambini con mamme diverse) ho causato disastri e attraversato momenti di merda.

Ci sono state continue piccole cadute seguite da piccole crescite. Non c’è mai stato un momento di svolta in cui mi sono detto: ok, ce l’ho fatta. Sono partito dal fondo e pian piano sono risalito.

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L’infortunio è stata una possibilità di crescita, è stato quasi un bene, una cosa che mi ha salvato dalla morte. E questo vale per un sacco di altri traumi, piccoli o grandi che siano. Se sai comprenderne l’insegnamento ti spronano a prendere la tua vita in mano e ad agire per il tuo bene.

Ad esempio Gianni, un mio caro amico che ha fatto il ragioniere dai 18 ai 55 anni era stufo del suo lavoro. Gli ho proposto di venire qui a lavorare e ora si occupa di fare marmellate ed è contento come una pasqua, anche se abbiamo un problema di permessi: ancora non ci lasciano confezionarle in cucina.

Oltre a questo percorso individuale ammetto che per la prima volta mi sento davvero insieme a qualcuno: Eva, mia moglie, mi sostiene, mi asseconda in tutto e i problemi li affrontiamo insieme. Con lei vicina mi posso mostrare insicuro e dire di aver paura. Una volta la paura non doveva esistere, non potevo dirla agli altri, figuriamoci a me stesso.

Ai miei figli vorrei insegnare di volersi bene, accettandosi per quello che sono: ciò che facevo io arrampicando in quel modo pazzo e pericoloso non era volermi bene. Un esercizio che ho fatto dopo l’incidente è stato di guardarmi allo specchio e dirmi: Danny ti voglio bene. E’ stato difficilissimo perchè in realtà significa innamorarsi delle proprie debolezze. Lo stesso faccio con Eva, che amo per quella che è.

Con questo approccio, i difetti di ciascuno non diventano problemi che si aggiungono a quelli quotidiani. E anche quelli rimpiccioliscono notevolmente. Non si può fare la marmellata qua dentro? La facciamo di fuori.

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Adesso riesco a raccontare le mie debolezze e la mia eterna insicurezza non solo a mia moglie, ma anche agli altri. Non mi vergogno più di espormi, di aprirmi, e questo vale anche per gli aspetti positivi, come il fatto di riconoscere che faccio bene il mio lavoro.

Ad un convegno di gestori di rifugio, con colleghi che prendevano appunti, ascoltavo interventi su come si mostrano gli affettati, come si trattano i clienti e su come si fanno girare i soldi. Io mi presentai e non sapendo cosa dire affermai che non credevo di essere bravo, ma che mi sentivo circondato da mediocri. Tutti mi applaudirono.

In Trentino lo status quo è l’eccellenza: siamo mediocri e ci pensiamo dei geni, siamo abituati ad avere soldi e ricchezze naturali, la vita facile, e questo riduce la nostra fantasia. Con questo atteggiamento, me ne rendo conto, ci si crea in fretta dei nemici, ma non mi interessa: qualcuno mi porta come il migliore gestore di rifugio, altri come il peggiore.

A me importa solo di riuscire a fare bene ciò che faccio. Il rifugio non è in stile SAT (l’Associazione che posside la struttura dell‘Altissimo), lo so, è come piace a me; I canederli non li faccio secondo la ricetta tradizionale ma a modo mio. Qual’è il problema se poi ai miei clienti piacciono? Ad esempio: ad ogni bambino che entra chiedo, se vuole, di fare un disegno che poi attacco sul soffitto della sala da pranzo.

Loro si sentono parte di qualcosa e qui dentro hanno una missione. C’è chi è tornato dopo anni, ha rivisto il suo vecchio disegno e si è emozionato. Ormai tutti lo sanno, è una sorta di rito. La SAT vorrebbe che li togliessi perchè non sono il linea con lo standard del rifugio modello.

Sono uscito dall’ultima loro riunione mortificato come quando andavo a scuola. Non è successo nulla di eclatante, semplicemente mi sono sentito inadeguato, fuori luogo. Qui ho passato 17 anni meravigliosi, davvero stupendi, ma nel tempo ho anche accumulato una frustrazione bruciante che non so per quanto potrò ancora sostenere.

Rifugio Altissimo

Danny Zampiccoli è stato per ben 17 anni il gestore del rifugio Damiano Chiesa sul Monte Altissimo, una delle mete più amate dagli escursionisti e dai biker che frequentano il Garda Trentino e ultima tappa in quota del Top Loop Garda Trek.

La sua personalità dirompente, la sua simpatia e il suo inimitabile senso di accoglienza hanno reso il rifugio un punto di riferimento per tutti gli amanti della montagna e delle serate in alta quota in buona compagnia.

Da quest’anno Danny non sarà più il padrone di casa sulla cima dell’Altissimo, ma ne raccoglie il testimone la giovane Eleonora Orlandi, a cui facciamo un grande in bocca al lupo per questa nuova avventura.

A Danny un grazie per il grande lavoro svolto in questi anni e l’augurio di trovare sempre nuove sfide e nuove soddisfazioni.

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