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GardaTrek, l’insegnamento delle castagne – Drena

by Isabelle Yrma Pace
Tempo di lettura 4 minuti
GardaTrek, l'insegnamento delle castagne - Drena

L’insegnamento delle castagne, Alice – Drena

“Di punto in bianco io e mia sorella Giulia possedevamo il castagneto, senza avere idea di come fare. Era appartenuto alla mia famiglia per generazioni e sia per mio nonno che per mio padre esso costituiva la passione di una vita. Ci avevano speso tempo, denaro e fatica. Nonno Saverio raccontava che una volta il castagno era l’albero del pane, perché ci si faceva di tutto: il legno riscaldava, le foglie erano ottime per la lettiera degli animali, il frutto lo si mangiava così com’era o ci si faceva la farina, oppure lo si barattava con altri beni.

Avere un appezzamento come il nostro voleva dire essere ricchi e per lui queste piante erano sacre. Appena andò in pensione gli amputarono la gamba, ma saliva ugualmente con l’Ape tutti i santi giorni, si appollaiava sulle radici del suo castagno preferito col fucile sulle ginocchia e aspettava i ladri, che in autunno sono una delle piaghe da combattere.

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Mia mamma morì che io e Giulia eravamo ancora piccole, nel ’98. Fu il papà a crescerci, e assieme a tante altre cose ci trasmise l’amore per il castagneto, o almeno ce la mise tutta: da adolescenti non ce ne importava più di tanto, preferivamo girare con gli amici. Negli ultimi anni però, quando saliva al campo io lo seguivo, lo guardavo fare gli innesti, tagliare l’erba prima del raccolto e lo ascoltavo parlare delle piante.

Mi stupivo di quante cose sapesse, in fin dei conti non era uno studioso in materia, ma un semplice impiegato comunale che tutti gli anni a ottobre chiedeva un mese di ferie per raccogliere i marroni nel suo bosco. Nonostante non lo facesse di lavoro badava ai castagni con tutta la cura e la meticolosità di cui disponeva e nel corso di una vita aveva accumulato un bagaglio di conoscenze notevole.

Lo invitavano a tenere conferenze sull’argomento e io talvolta lo accompagnavo. Quando eravamo assieme, se mi veniva di fargli una domanda, spesso rimanevo in silenzio; il suo modo di vivere costantemente proiettato verso il futuro, il suo fare progetti e pensare al domani mi confortava: non c’è fretta, mi dicevo, questa cosa me la spiegherà poi, il prossimo anno, quando sarà il momento. Ora mi pento di non avergli chiesto più cose.

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Quando abbiamo ereditato il bosco la decisione più logica era venderlo. Eravamo due ragazze giovani e con poca competenza in materia. Sarebbe stato tutto molto più facile se ce ne fossimo liberate. Ma quella passione che prima non sentivamo di avere ce la siamo ritrovata dentro, figlia di tutti i pomeriggi in cui da bambine il papà ci portava qui. Invece di incassare subito e senza troppi traumi un bel gruzzolo abbiamo deciso di guadagnare molto meno ogni anno, vendendo i 25 quintali di marroni che riusciamo a produrre se la stagione è buona.

Il lavoro, rispetto al ricavo, è di molto superiore: le piante, che sono oltre 350 fra piccole e grandi, vanno potate ciclicamente; a settembre c’è lo sfalcio e, finalmente, quando è il momento, si raccoglie a mano per circa un mese. Nel 2013 e nel 2014 la produzione è stata pochissima a causa di una malattia e del cattivo tempo, ma nel 2015 e 2016 in sei abbiamo faticato per setacciare i sei ettari della proprietà.

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Amo le castagne, ma non sono un frutto facile. Quando lo mangi è morbido e dolce, oltre che nutriente, ma per goderne il sapore devi prima accettare di piegarti a terra fino a romperti la schiena, di farti pungere le dita dai ricci, di raccogliere pugni di mosche se l’annata è cattiva. Penso che con la vita, per quanto mi riguarda, funzioni pressappoco allo stesso modo. Fino a qualche anno fa mi sentivo un’altra persona.

Ero chiusa, timida e insicura. Non avevo mai accettato la scomparsa di mia madre e credo che lo stesso valesse per papà, che cercava di nascondere la sua fragilità dietro una grande forza d’animo. Quando anche lui se n’è andato, la sua morte avrebbe potuto farmi precipitare ulteriormente in me stessa, invece mi ha dato una spinta in avanti, verso la maturità.

Da ragazzina spaventata sono diventata una donna adulta, aperta verso il mondo. Questo non significa che non ho più paura, ma che so gestirla meglio. E tenere il castagneto si è rivelata una scelta giusta, perché io e Giulia abbiamo trovato un modo per poter continuare a dialogare con nostro padre. Lui ha creato tutto questo, per una vita ci ha investito tutto ciò che aveva e la sua presenza, quando mi avvicino ai suoi alberi, è quasi palpabile. Ogni volta, venire qui è come incontrarlo ancora.”

Drena

La diffusione del castagno, in Trentino come altrove, è legata al grande valore rappresentato in passato da questa specie per la gente di montagna, che da questa pianta traeva una importante fonte di sostentamento, come testimonia il nonno di Alice. Il suo frutto è infatti molto nutriente ed era un importante complemento per la dieta locale.

Di questo passato, rimangono tracce nei numerosi castagneti del Garda Trentino, tra cui ricordiamo quelli di Drena – che si attraversano nella quarta tappa del Top Loop GardaTrek – Pranzo, Tenno e Campi.

Oggi i “marroni” (più grandi e saporiti delle normali castagne) sono protagonisti di feste e di menu dedicati nel periodo autunnale, parte integrante del progetto Vacanze con Gusto.

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